sabato 19 ottobre 2013

fatti più in là


“Fatti più in là” pare essere la regola generale di questo pianeta per tutte le cose spiacevoli e anche per gli uomini che sono diventati essi stessi delle cose spiacevoli.
 Non voglio l’inceneritore nel mia città, sia fatto più in là. Non voglio che il mio corso d’acqua sia inquinato, sia fatto più in là. Non voglio che con i tuoi stracci vieni a costruire un tuo campo nomadi alla periferia del mio paese, sia fatto più in là.   Sei uno oppositore al mio regime, ti distruggo oppure fatti più in là.
Accanto  a questa prassi generale che pare regolare il mondo c’è ne sta un’altra da parecchio tempo: è quella del “vado più in là”. Non riesco a vendere le merci che ho prodotto nel mio paese, per venderle “vado più in là”. Mi costa tanto la manodopera  nel mio paese, per costruire i miei prodotti “vado più in là”. Non ho le materie prime che mi servono per costruire milioni di telefonini cellulari, per prenderle “vado più in là”. Non ho risorse energetiche sufficienti a mantenere il mio standard produttivo, per prenderle “vado più in là”.
 Accanto a un procedere di spogliazione determinato dal “vado più in là” si è determinata anche la chiusura a riccio del “fatti più in là”, e come conseguenza si spostano milioni di tonnellate di merce e milioni di uomini alla ricerca disperata di una collocazione. Si semina inquinamento ovunque e si semina malessere ovunque.
 Si scopre che quel pianeta un tempo pieno di terre promesse è diventato piccolo.  Si potrebbero vedere gli aspetti benefici di una possibile costruzione di una società multietnica e di un mondo unito; ma fino ad ora ci sono tutti gli effetti di un mondo di merda.
 All’interno di questo mondo così fatto poi ci sono dei particolari paesi che rischiano di essere sepolti nel liquame, perché le proprie istituzioni sono diventate incapaci di dare una qualche risposta. Uno di questi paesi è l’Italia, sono alcuni anni che si dice che il problema centrale è il lavoro ed ancora non arrivano risposte.
C’è qualcuno che,  dall’alto della mancanza di problemi dice: “gli italiani non vogliono fare più certi mestieri e per questo è buona cosa che arrivino disperati da altri paesi”.  Ma ciò è vero solo in piccola parte: scopriamo che se sei un italiano che vuoi fare un lavoro umile non lo trovi,  perché l’altro italiano che ti vuole dare il lavoro umile te lo vuole dare in nero e preferisce darlo a uno straniero che può accettare silenziosamente condizioni pesanti. Accade così che l’italiano che voleva fare il lavoro umile lo va a fare più il là  da straniero in Germania o in Inghilterra. Scopriamo che emigrano non solo gli italiani con laurea che trovano dei buoni lavori all’estero, ma anche gli italiani con laurea che non riescono a trovare in Italia neanche un lavoro umile.
 Il Governo Letta dice di avere avviato una manovra benefica per diminuire le imposte sul lavoro e complessivamente il cuneo fiscale. La diminuzione dell’imposte sul lavoro è sicuramente uno degli aspetti più rilevanti per il lavoro nel nostro paese. Ma volendo mantenere le entrate fiscali inalterate, non sfondando i limiti del debito imposti dalla comunità europea, non riducendo la spesa per l’impianto burocratico dello Stato; l’operazione si traduce in un trasferimento di collocazione delle imposte, da alcuni soggetti ad altri soggetti. Di conseguenza, in questo momento, Letta deve badare al coro di tante voci che cantano un “fatti più in là” per fare in modo che il peso fiscale ricada su altri.
Non intendo aggiungermi a questo coro, ma è certo che: con 14 euro in più nella paga non ci più essere una grande ripresa dei consumi e se l’IRAP non viene sterilizzata dai costi del lavoro continueranno ad esserci imprese in difficoltà.
 Il peso fiscale, se non si vuole fare ricadere sul lavoro,  deve necessariamente cadere sui redditi più elevati, sui patrimoni che non vengono investiti in impresa, sui consumi di beni voluttuari. Lo Stato deve dimagrire la sua spesa burocratica. Debbono essere trovate misure per fare emergere l’economia in nero, far pagare le imposte a chi evade, senza strozzare l’economia marginale. L’Europa deve dare il necessario tempo per i rientro dal debito. Non è facile e per qualsiasi governo può essere necessario un tempo di lavoro. Intanto c’è un problema di urgenza: la condizione di disoccupazione per periodi lunghi è una tragedia. Non ce la si può cavare con un aspettiamo che riprenda l’economia, diventa urgente un riordino del welfare e della normativa sul collocamento. Allego qui la proposta sul Collocamento al lavoro già inviata l’8 maggio 2013 a tutte le componenti politiche; c’era stato un qualche riscontro iniziale, poi un successivo totale silenzio.

 Occorrono riforme ma non ci si può ispirare al “fatti più in là”.
19/10/2013 francesco zaffuto
Immagine – una manifestazione per il lavoro

1 commento:

  1. Ah, oltre i danni le beffe (14 euro!!!) ma qualcosa dovrà cambiare perchè siamo tutti stanchi e la distanza fra i personaggi politici e le persone sono troppo grandi. Leggevo di Ripa di Meana che si lamentava dei dodicimila euro (dichiarati) al mese... Al mese!, quando c'è chi non li percepisce in un anno.

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