Un paginone di
domenica 16 luglio 2017 del Corriere della Sera con un articolo di Gian Antonio
Stella è stato dedicato alla magia di triplicare la propria pensione attuata da
alcuni dirigenti sindacali.
L’articolo è stato riportato
su internet con questo link
All’origine della
questione ci sta un ricorso alla Corte dei conti
di un sindacalista
(coordinatore della Gilda degli Insegnanti Gennaro Di Meglio) che si era visto
negata dall’INPS la liquidazione della pensione su
uno stipendio di 8 mila euro al mese, percepito solo negli ultimi mesi di lavoro.
La
Corte dei conti ha osservato nella sentenza
491/2016 che al lavoro svolto dal sindacalista Di Meglio mancavano i criteri
della fissità e della continuità, stabiliti come necessari per poter conteggiare i versamenti
con il criterio retributivo, per cui degli 8 mila euro di retribuzione ne ha
calcolati «solo» 5 mila.
“Tutto
sommato al sindacalista Di Meglio non è andata male se si considera che come ex
docente di scuola elementare avrebbe potuto percepire una pensione al massimo
di circa 1700 euro. E se si considera che la Gilda degli insegnanti è stata
sempre paladina di lotte contro i privilegi sindacali.” (nota in corsivo di
Francesco Zaffuto)
Ma considerato
quanto avevano ottenuto altri sindacalisti (tipo Cisl) il trattamento riservato
al coordinatore della Gilda Gennaro Di Meglio era penalizzante e veniva visto
dall’INPS come un’ottima Sentenza da fare applicare a tutti.
Verdetto alla mano, l’Inps va a controllare un campione di
119 pensioni decorrenti dal 1997 al 2016. Salta fuori che, contando i
contributi aggiuntivi nella «quota A» invece che nella «quota B», c’è chi ha
avuto un incremento del 18,9% (il minimo), chi del 37,5%, chi del 55,5%, chi
del 62,5% fino al record. Con i criteri della Corte dei Conti il «soggetto 18»
della Cisl (il sindacato di Raffaele Bonanni, i cui ultimi stipendi sollevarono
un putiferio) dovrebbe prendere, come
dicevamo, 39.282 euro ma ne prende 114.275. Il 190,9% in più. Il triplo. (Dall’articolo di Gian Antonio Stella)
Ma considerato che
queste pensioni sono ormai definitive e non c’è modo di
tagliarle ma incombono i vitalizi di altri 1.400 sindacalisti che potrebbero
essere rivisti alla luce della sentenza dei magistrati contabili, l’Istituto di
previdenza chiede al ministero del Lavoro: come ci dobbiamo regolare? Per
quattro mesi: silenzio. Finché, pensa e ripensa, arriva la risposta. «In
conclusione sembra di poter dire che anche gli emolumenti sindacali erogati con
carattere di fissità e continuità — da individuare in termini generali in via
preventiva — vanno valorizzati ai fini del computo nella quota A». «Ferma
restando la necessità», continua il ministero di Giuliano Poletti per
aggiustare un po’ il tiro, «di evitare gli abusi del diritto che si possono
realizzare attraverso incrementi anomali delle retribuzioni dei rappresentanti
sindacali a ridosso del collocamento in quiescenza al solo fine di conseguire
sproporzionati ed ingiusti vantaggi in termini di prestazione pensionistica». Traduzione: chi ha dato ha dato, chi ha avuto ha avuto. Ma poiché gli
spropositati e ingiusti vantaggi ci sono stati davvero, come bontà sua
riconosce il ministero, nel futuro occorre cambiare. Nel futuro, si capisce... Non ora. (Dall’Articolo di Gian
Antonio Stella)
Quindi il tutto
resta al momento come prima.
Ma vediamo un po’ l’origine
dei mali.
In
base a quale legge i sindacalisti di cui sopra sono stati baciati dalla
fortuna?
Non una sola, ma almeno tre leggi
distinte. Tutto comincia
con l’introduzione del sistema contributivo (pensione basata solo sui
contributi) al posto del retributivo (pensione calcolata sullo stipendio degli
ultimi anni) decisa nel 1992, che per ridurre l’impatto consentì di mantenere
il vecchio sistema per i contributi versati prima del 31 dicembre di
quell’anno. Nel 1995 la legge Dini offrì a tutti la possibilità di rimpolpare
la pensione con versamenti ulteriori, e per non dilatare il privilegio già
ottenuto dagli «anziani» stabilì che quanto aggiunto finisse nella quota
calcolata con il meno vantaggioso contributivo. A queste due leggi se ne
aggiunse una terza, quella voluta nel ’96 dall’allora ministro del Lavoro Tiziano Treu, che consentì ai
sindacati di incrementare, sempre con versamenti aggiuntivi, le pensioni dei
loro dirigenti in aspettativa o in distacco sindacale dalle rispettive aziende.
È qui che si crea il corto circuito, perché le circolari applicative
consentono inspiegabilmente di conteggiare questi versamenti aggiuntivi dei
sindacati non con il sistema contributivo, come per tutti gli italiani, ma con
il retributivo, che per il settore pubblico gode di un trattamento davvero
speciale, essendo basato addirittura sull’ultimo giorno di lavoro.
MORALE DELLA FAVOLA
“In
pratica mentre per tutti i lavoratori si introduceva il penalizzante sistema
contributivo il Ministro Tiziano Treu
trovava un escamotage per lasciare il sistema retributivo solo agli “amici” dei
sindacati.
Occorre precisare, nel particolare caso, che la Gilda degli
insegnanti dal 1992 al 1996 si batteva contro quella iniquità e contro il
privilegio che si ritagliavano i sindacalisti (lo ricordo bene perché all’epoca ero dirigente di quel sindacato).
Quindi nessuna responsabilità per quelle leggi inique è attribuibile alla Gilda
degli insegnanti.
Ma una volta che l’iniquità si è stabilita diventa “quasi ovvio” approfittare
dell’iniquità ed anche qualche dirigente Gilda ha fatto richiesta dei privilegi
sindacali. Infatti in Italia vige un vecchio detto siciliano:
cu avi cummirità e `un si ni servi, 'un c'è cunfissuri chi
l'assolvi (chi ha le
comodità e non se ne serve, non troverà confessore disposto ad assolverlo).
In ogni caso alla fine
voglio precisare, in quanto antico sindacalista, che vivo con la mia pensione
di 1.650 euro – per 35 anni di lavoro di insegnante – non sono tanti – me li
faccio bastare – e c’è tanta gente in questo paese che sta molto peggio di me.”
(Francesco Zaffuto)
Foto – Quadro Vincent Van Gogh – Mangiatori di patate – (ovviamente
sono i lavoratori)
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