martedì 18 luglio 2017

Come triplicare la pensione per alcuni sindacalisti

Un paginone di domenica 16 luglio 2017 del Corriere della Sera con un articolo di Gian Antonio Stella è stato dedicato alla magia di triplicare la propria pensione attuata da alcuni dirigenti sindacali.
L’articolo è stato riportato su internet con questo link


All’origine della questione ci sta un ricorso alla Corte dei conti
di un sindacalista (coordinatore della Gilda degli Insegnanti Gennaro Di Meglio) che si era visto negata dall’INPS la liquidazione della pensione  su uno stipendio di 8 mila euro al mese, percepito solo negli ultimi mesi di lavoro.

 La Corte dei conti  ha osservato nella sentenza 491/2016 che al lavoro svolto dal sindacalista Di Meglio mancavano i criteri della fissità e della continuità, stabiliti come necessari per poter conteggiare i versamenti con il criterio retributivo, per cui degli 8 mila euro di retribuzione ne ha calcolati «solo» 5 mila.

“Tutto sommato al sindacalista Di Meglio non è andata male se si considera che come ex docente di scuola elementare avrebbe potuto percepire una pensione al massimo di circa 1700 euro. E se si considera che la Gilda degli insegnanti è stata sempre paladina di lotte contro i privilegi sindacali.” (nota in corsivo di Francesco Zaffuto)

Ma considerato quanto avevano ottenuto altri sindacalisti (tipo Cisl) il trattamento riservato al coordinatore della Gilda Gennaro Di Meglio era penalizzante e veniva visto dall’INPS come un’ottima Sentenza da fare applicare a tutti.
Verdetto alla mano, l’Inps va a controllare un campione di 119 pensioni decorrenti dal 1997 al 2016. Salta fuori che, contando i contributi aggiuntivi nella «quota A» invece che nella «quota B», c’è chi ha avuto un incremento del 18,9% (il minimo), chi del 37,5%, chi del 55,5%, chi del 62,5% fino al record. Con i criteri della Corte dei Conti il «soggetto 18» della Cisl (il sindacato di Raffaele Bonanni, i cui ultimi stipendi sollevarono un putiferio) dovrebbe prendere, come dicevamo, 39.282 euro ma ne prende 114.275. Il 190,9% in più. Il triplo.  (Dall’articolo di Gian Antonio Stella)

Ma considerato che
queste pensioni sono ormai definitive e non c’è modo di tagliarle ma incombono i vitalizi di altri 1.400 sindacalisti che potrebbero essere rivisti alla luce della sentenza dei magistrati contabili, l’Istituto di previdenza chiede al ministero del Lavoro: come ci dobbiamo regolare? Per quattro mesi: silenzio. Finché, pensa e ripensa, arriva la risposta. «In conclusione sembra di poter dire che anche gli emolumenti sindacali erogati con carattere di fissità e continuità — da individuare in termini generali in via preventiva — vanno valorizzati ai fini del computo nella quota A». «Ferma restando la necessità», continua il ministero di Giuliano Poletti per aggiustare un po’ il tiro, «di evitare gli abusi del diritto che si possono realizzare attraverso incrementi anomali delle retribuzioni dei rappresentanti sindacali a ridosso del collocamento in quiescenza al solo fine di conseguire sproporzionati ed ingiusti vantaggi in termini di prestazione pensionistica». Traduzione: chi ha dato ha dato, chi ha avuto ha avuto. Ma poiché gli spropositati e ingiusti vantaggi ci sono stati davvero, come bontà sua riconosce il ministero, nel futuro occorre cambiare. Nel futuro, si capisce... Non ora. (Dall’Articolo di Gian Antonio Stella)

Quindi il tutto resta al momento come prima.
Ma vediamo un po’ l’origine dei mali.
In base a quale legge i sindacalisti di cui sopra sono stati baciati dalla fortuna?
 Non una sola, ma almeno tre leggi distinte. Tutto comincia con l’introduzione del sistema contributivo (pensione basata solo sui contributi) al posto del retributivo (pensione calcolata sullo stipendio degli ultimi anni) decisa nel 1992, che per ridurre l’impatto consentì di mantenere il vecchio sistema per i contributi versati prima del 31 dicembre di quell’anno. Nel 1995 la legge Dini offrì a tutti la possibilità di rimpolpare la pensione con versamenti ulteriori, e per non dilatare il privilegio già ottenuto dagli «anziani» stabilì che quanto aggiunto finisse nella quota calcolata con il meno vantaggioso contributivo. A queste due leggi se ne aggiunse una terza, quella voluta nel ’96 dall’allora ministro del Lavoro Tiziano Treu, che consentì ai sindacati di incrementare, sempre con versamenti aggiuntivi, le pensioni dei loro dirigenti in aspettativa o in distacco sindacale dalle rispettive aziende.
È qui che si crea il corto circuito, perché le circolari applicative consentono inspiegabilmente di conteggiare questi versamenti aggiuntivi dei sindacati non con il sistema contributivo, come per tutti gli italiani, ma con il retributivo, che per il settore pubblico gode di un trattamento davvero speciale, essendo basato addirittura sull’ultimo giorno di lavoro.
L’effetto, è che basta una retribuzione molto elevata negli ultimi mesi per portare a casa un aumento abnorme della pensione, naturalmente a spese dell’ente previdenziale, ossia degli altri contribuenti.  (Dall’Articolo di Stefano Caviglia su Panorama del gennaio 2017 http://www.panorama.it/economia/lavoro/pensioni-doro-dei-sindacalisti-la-fine-dei-privilegi/  )

MORALE DELLA FAVOLA
“In pratica mentre per tutti i lavoratori si introduceva il penalizzante sistema contributivo il Ministro Tiziano Treu trovava un escamotage per lasciare il sistema retributivo solo agli “amici” dei sindacati.
 Occorre precisare,  nel particolare caso, che la Gilda degli insegnanti dal 1992 al 1996 si batteva contro quella iniquità e contro il privilegio che si ritagliavano i sindacalisti (lo ricordo bene perché all’epoca ero dirigente di quel sindacato). Quindi nessuna responsabilità per quelle leggi inique è attribuibile alla Gilda degli insegnanti.
 Ma una volta che l’iniquità si è stabilita diventa “quasi ovvio” approfittare dell’iniquità ed anche qualche dirigente Gilda ha fatto richiesta dei privilegi sindacali. Infatti in Italia vige un vecchio detto siciliano:
cu avi cummirità e `un si ni servi, 'un c'è cunfissuri chi l'assolvi  (chi ha le comodità e non se ne serve, non troverà confessore disposto ad assolverlo). 
 In ogni caso alla fine voglio precisare, in quanto antico sindacalista, che vivo con la mia pensione di 1.650 euro – per 35 anni di lavoro di insegnante – non sono tanti – me li faccio bastare – e c’è tanta gente in questo paese che sta molto peggio di me.” (Francesco Zaffuto)

Foto – Quadro Vincent Van Gogh – Mangiatori di patate – (ovviamente sono i lavoratori)

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